Chi ci conosce sa che abbiamo a cuore la sostenibilità ambientale e oggi vogliamo parlarvi di una legge Europea riguardante le bioplastiche, che fa parte di un grande progetto iniziato nel 2017 e che finirà nel 2030.
Partiamo dalla definizione di biodegradabilità: sostanze e materiali organici si “scompongono” in sostanze più semplici fino ad ottenere acqua, anidride carbonica e metano.
Questo processo di decomposizione fa parte del ciclo naturale della vita e permette di mantenere in equilibrio l’ecosistema terrestre.
La parola plastica può fare storcere il naso ma da quando è stata introdotta 200 anni fa ha portato tantissimi vantaggi nel nostro quotidiano. Non ci riferiamo solo alle semplificazioni casalinghe, ma anche ad esempio alle applicazioni mediche come siringhe, valvole cardiache o sacche per il sangue.
Il problema, come sempre, è l’uso esagerato che ha fatto l’uomo nell’uso di questi materiali, intaccando in modo significativo l’ecosistema.
Ogni anno in mare finiscono 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Di questi, il 30% rimane in superficie formando le tristemente famose isole di plastica, mentre il 70% si deposita sui fondali, in parte si deteriora ed entra a far parte della catena alimentare attraverso il plancton. Per farla breve ce lo ritroviamo nel piatto!
Per non parlare dei rifiuti abbandonati sulle spiagge quali bicchieri, cannucce, posate…
L’unione europea quindi, ha deciso di stilare delle normative ben chiare per vietare il materiale con cui vengono prodotti gli articoli monouso e da questo luglio ha vietato anche l’uso di bioplastiche per la produzione di monouso.
Vediamo perché!
La compostabilità delle plastiche bio, per normativa europea, prevede la degradazione in 90 giorni in condizioni ideali, cioè in impianti dove batteri e temperature favoriscono il processo.
In ambiente domestico, sempre per le bioplastiche, questo avviene in 12 mesi mentre in ambiente marino i tempi sono ancora più lunghi.
Un elemento, quindi, è biodegradabile per la sua struttura chimica, non per la materia prima con cui è prodotto. CNR e IUPAC hanno “semplificato” il concetto affermando che le bioplastiche sono materiali prodotti da materie prime biodegradabili e compostabili.
Ulteriore confusione è stata creata dall’associazione Europea per le bioplastiche che sostiene che si può definire bioplastica tutto ciò che è biodegradabile e tutto ciò che deriva da fonte rinnovabile.
Con questa definizione si possono definire bioplastiche anche pet e polietilene, prodotti con materie prime vegetali che però non si degradano.
Tante aziende hanno subito visto un vantaggio commerciale da questa definizione, come ad esempio la coca cola che ha tanto pubblicizzato la plant bottle, in pet 100%: sì, è prodotta dagli scarti della canna da zucchero anziché dagli scarti del petrolio, ma non si degrada!
Il problema quindi va affrontato a monte e l’Unione Europea, a scanso di equivoci, ha deciso di vietare anche le bioplastiche, con l’obiettivo di avere tutti gli imballaggi riciclabili entro il 2030.
Per concludere, il futuro dell’imballaggio è nella carta: si produce a partire da materie prime rinnovabili e il prodotto finito è ulteriormente riciclabile.
È biodegradabile, riciclabile, compostabile e rinnovabile. In pratica carta = sostenibilità!
Noi di Cartotecnica Sci da sempre siamo attenti all’uso delle materie prime in ogni prodotto che offriamo ai nostri clienti. Dalla carta, alle shopper, al food packaging, ogni prodotto a catalogo è green.
Ogni giorno ci impegniamo per mandare avanti un business responsabile e sostenibile!
Tu cosa ne pensi? Nei tuoi gesti quotidiani fai attenzione ai materiali che usi? Scrivilo nei commenti!